Storia di Taranto
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«Se vi si domanda come Taranto sia diventata grande,
come si conservi tale, come si aumenti la sua ricchezza, voi potete con serena fronte e con gioia nel cuore rispondere, con la buona agricoltura, con la migliore agricoltura, con l'ottima agricoltura.» |
(Archita da Taranto - Ai tarantini)
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La Storia di Taranto ha inizio nell'VIII secolo a.C., sebbene insediamenti precedenti siano stati attestati.
Indice |
[modifica] Le origini
La cronologia tradizionale, assegna la data della fondazione di Taranto al 706 a.C.. Le fonti tramandate dallo storico Eusebio di Cesarea, parlano del trasferimento di alcuni coloni Spartani in questa zona per necessità di espansione o per questioni commerciali. Questi, distruggendo l'abitato indigeno, portarono una nuova linfa di civiltà e di tradizioni. La struttura sociale della colonia sviluppò nel tempo una vera e propria cultura aristocratica, la cui ricchezza proveniva, probabilmente, dallo sfruttamento delle risorse del fertile territorio circostante, che venne popolato e difeso da una serie di "phrouria", piccoli centri fortificati in posizione strategica.
La leggenda racconta che nell'VIII secolo a.C., l'eroe spartano Falanto divenne il condottiero dei Partheni, cioè di quel gruppo di cittadini emarginati in quanto figli illegittimi dell'aristocrazia al potere nella città di Sparta. Consultando l'Oracolo di Delfi prima di avventurarsi per mare alla ricerca di nuove terre, apprese che sarebbe giunto nella terra di Saturo, e che avrebbe fondato una città nel luogo in cui egli avesse visto cadere la pioggia da un cielo sereno e senza nuvole (in greco ethra). Falanto si mise in viaggio, fino a quando giunse nei pressi della foce del fiume Tara. Addormentatosi sul grembo della moglie, ella cominciò a piangere a dirotto, ripensando all'oscuro responso dell'Oracolo e alle difficoltà sopportate, bagnando con le sue lacrime il volto del marito. L'oracolo si era avverato, una pioggia era caduta su Falanto da un cielo sereno: le lacrime della moglie Ethra. Sciolto l'enigma, l’eroe si accinse a fondare la sua città a cui diede il nome di Saturo, cioè "città dedicata a Sat" (Sat-Ur).
Un’altra versione sull'origine di Taranto, farebbe risalire la nascita della città a 2000 anni prima di Cristo, ad opera di Taras, uno dei figli di Poseidone. Taras sarebbe giunto in questa regione con una flotta, approdando presso un corso d'acqua che poi da lui stesso avrebbe preso il nome: il fiume Tara. Sempre secondo la leggenda, Taras avrebbe edificato non solo la città che sarebbe divenuta Taranto, ma anche quella che egli dedicò a sua moglie Satureia e che chiamò Saturo. Un giorno Taras sarebbe scomparso nelle acque del fiume e dal padre sarebbe stato assunto fra gli eroi. L'antica Taranto ebbe un grande culto per il dio Poseidone e naturalmente nella città, non poteva non essere eretto un tempio dedicato a questa mitica divinità. Più tardi, nel II millennio a.C., giunsero dal mare anche delle colonie Arii, le quali, attratte dalla particolare conformazione della costa, costruirono le loro case su palafitte. A poco a poco gli Arii riuscirono a sottomettere le popolazioni locali ed a controllare tutto il territorio. In questo periodo la città cambiò nome, assumendo appunto il nome di Taras, dal mitico figlio di Poseidone.
[modifica] L'età Ellenistica
Intorno al 500 a.C. la città era governata da un istituto di tipo monarchico. È noto infatti un re tiranno di nome Aristofilide ed una conflittualità politica tale da provocare un gran numero di esuli. L'ultimo re tarantino, legato ad una discendenza che prediligeva interessi esclusivamente di tipo agricolo, fu indotto per mentalità a tradurre erroneamente la grandezza della sua gente in potenza bellica. Per tale motivo, continue furono le aggressioni condotte ai danni dei vicini Peucezi e Messapi, fino alla definitiva sconfitta subita da parte degli Iapigi nel 473 a.C., annoverata dallo storico greco Erodoto tra le più gravi sconfitte inflitte a popolazioni di stirpe greca. Questo evento provocò la crisi della classe aristocratica al potere, che non poté opporsi ad una rivoluzione istituzionale di tipo democratico, in quanto decimata dalla guerra: molti aristocratici furono uccisi, e gli stessi Pitagorici vennero allontanati.
Nella prima metà del V secolo a.C. la città subì una profonda trasformazione urbanistica. Si costruì infatti una nuova cinta difensiva e si ampliò la superficie monumentale, che raggiunse il suo culmine con la costruzione di un imponente tempio dorico sull'acropoli. La democrazia tuttavia, non arrestò la politica aggressiva nei confronti del mondo esterno. Tra il 444 a.C. ed il 433 a.C., la città ingaggiò una guerra per il possesso della Siritide con la colonia panellenica di Thurii, che si concluse con l’accordo per la costituzione di una subcolonia mista di Thurini e Tarantini, che prese il nome di Heraclea, in cui prevalse ben presto la componente dorica di Taranto.
Verso la fine del secolo, Taranto si allineò alla politica di Sparta, e in occasione della Guerra del Peloponneso contro Atene, pur non entrando direttamente nel conflitto, negò nel 415 a.C. l'approdo presso il suo porto alle navi della flotta ateniese dirette verso la Sicilia. Il periodo di maggiore floridezza fu vissuto dalla città durante il governo settennale di Archita, che segnò l'apice dello sviluppo tarantino ed il riconoscimento di una superiorità politica sulle altre colonie dell'Italia meridionale. Dal 343 a.C. al 338 a.C. i Tarantini si scontrarono con i Messapi, rimediando una sconfitta che culminerà con la morte del Re spartano Archidamo III, accorso in aiuto della città magno-greca. Nel 335 a.C. giunse in soccorso della città Alessandro I d'Epiro il molosso contro i Lucani, i Bruzi ed i Sanniti, riuscendo a conquistare le città di Brentesion, Siponto , Heraclea, Cosentia e Paestum. Nel 303 a.C., allo scopo di frenare l'espansione della città di Taranto, i Lucani si allearono con Roma, la quale tuttavia preferì concordare la pace con la città magno-greca; nei trattati fu inclusa una clausola in base alla quale veniva vietato alle navi romane di spingersi più ad oriente del promontorio Lacinio.
Nel 282 a.C., Roma inviò una flotta composta da dieci navi in soccorso degli abitanti di Thurii assediati dai Lucani: per raggiungere Thurii, i Romani dovettero oltrepassare il promontorio Lacinio, e pretesero di ormeggiare nel porto di Taranto. La città festeggiava in onore di Dioniso, e la popolazione assisteva ai giochi nell'anfiteatro che sorgeva vicino al mare: viste all'orizzonte le navi romane che si dirigevano al porto, i Tarantini, che già odiavano Roma per le sue mire espansionistiche e per gli aiuti che aveva sempre prestato ai governi aristocratici, considerarono questa una violazione del trattato del 303 a.C., e non esitarono quindi ad affrontarle con la propria flotta, riuscendo ad affondare quattro navi e a catturarne una, e facendo molti prigionieri tra i Romani. Nonostante l'oltraggio subito, Roma non volle cominciare un guerra che avrebbe sicuramente richiamato nella penisola milizie greche o cartaginesi, pertanto inviò nella città come ambasciatore Lucio Postumio, per chiedere con fermezza la restituzione della nave e dei prigionieri catturati. Ma i Tarantini reagirono alla minaccia proferita invitando l'ambasceria ad abbandonare subito la città, e si racconta che in quell'occasione un uomo di nome Filonide orinò sulla toga di Postumio, il quale così ammonì la popolazione: "Per lavare questa offesa spargerete una gran quantità di sangue e verserete molte lacrime".
Tutto questo fu il pretesto affinché la guerra venisse dichiarata nel 281 a.C..
[modifica] Le guerre contro Roma
Taranto, per resistere alla potenza di Roma, strinse un’alleanza con Pirro, Re dell'Epiro e nipote di Alessandro Magno, il quale inviò il suo luogotenente Milone con un esercito di circa 30.000 uomini e 20 elefanti, obbligando i Tarantini validi ad arruolarsi.
Gli scontri tra epirei e romani furono sempre durissimi e costosi in termini di vite umane: la famosa Battaglia di Heraclea del 280 a.C., che vide protagonisti il console romano Publio Valerio Levino e lo stesso Pirro, costò 7.000 morti, 2.000 prigionieri e 15.000 feriti ai romani, mentre 4.000 morti e un gran numero di feriti si contarono tra i greci. I successi degli epirei furono conseguiti grazie alla presenza in battaglia degli elefanti da guerra, animali tanto imponenti quanto sconosciuti ai legionari romani.
Un'altro successo fu conseguito della lega tarantino-epiriota nella Battaglia di Ascoli Satriano del 279 a.C., ma nonostante le iniziali vittorie, Pirro non abbandonò mai il desiderio di concludere trattative di pace con i romani, consapovole della potenza dei suoi avversari. Nel frattempo questi ultimi, avendo appreso che gli elefanti si spaventavano alla vista del fuoco, avevano appositamente costruito dei carri armati con all'estremità dei bracieri, ragion per cui le sorti delle successive battaglie si spostarono sempre più a favore di Roma, tanto che Pirro decise di stipulare un trattato con cui si impegnava ad abbandonare l'Italia, a patto però che si lasciasse tranquilla Taranto. Tuttavia Roma tornò ben presto in campo contro i popoli del Mezzogiorno, e Pirro fu nuovamente invitato a ritornare in Puglia da messi inviati dall'Italia meridionale. Le sconfitte di Pirro furono questa volta molto più incisive rispetto al passato, tanto che dopo la disfatta di Malevento si ritirò in Grecia (dove morì poco dopo), lasciando a Taranto una piccola guarnigione comandata da Milone.
I Tarantini allora chiamarono una flotta cartaginese a sostegno, affinché li aiutasse a liberarsi del presidio epirota. Per tutta risposta Milone consegnò la città al console romano Gaio Papirio Carbone, e così Taranto cadde in potere dei romani nel 272 a.C.. Papirio fece smantellare le mura della città, le impose un tributo di guerra e gli sottrasse tutte le armi e tutte le navi. Tutto ciò che ornava Taranto (statue dell'arte greca, oggetti preziosi, pregevoli quadri) e qualsiasi cosa di valore, fu inviato a Roma, insieme ai matematici, ai filosofi, ai letterati, tra cui Livio Andronico, che tradusse dal greco l'Odissea per far conoscere ai romani l'epica greca. Roma si astenne dall’infliggere a Taranto punizioni, e mise la città nel novero delle alleate, proibendole però di coniare moneta.
Durante la seconda guerra punica, in seguito all'esecuzione di due prigionieri tarantini rei di aver tentato la fuga, crebbero nella città i sentimenti contro i Romani. Grazie al tradimento di due cittadini favorevoli all'arrivo dei Cartaginesi, Annibale riuscì nel 212 a.C. ad impadronirsi della città, costringendo i Romani a rinchiudersi in una roccaforte e a difenderla ad oltranza, cosa che gli impedì di usare Taranto come base per le sue truppe. Nel 209 a.C., il console romano Quinto Fabio Massimo si impadronì nuovamente della città, questa volta grazie al tradimento di un ufficiale cartaginese. Nel 123 a.C. Gaio Gracco istituì una colonia romana nel territorio confiscato dallo stato romano. Dopo l'89 a.C., la comunità greca e la colonia romana confluirono in un'unica struttura amministrativa, il cosiddetto "municipium", segnando l'omologazione completa di Taranto nella Repubblica Romana.
Nell'occasione della stipula di uno storico patto tra Augusto e Marco Antonio nel 37 a.C., la città venne fornita di un acquedotto e di un anfiteatro. Il I secolo a.C. fu caratterizzato nel complesso da una sopravvivenza difficile e solo verso la sua fine si registrò una certa ripresa. La città mantenne un buon livello di vita urbana all'epoca di Traiano, durante il quale furono costruite le terme "Pentascinenses".
[modifica] L'Alto Medioevo
Con la caduta dell'Impero Romano d'Occidente, Taranto si avviò dopo tanto splendore verso un periodo di decadenza lungo ed inesorabile, a causa anche dello sviluppo progressivo del porto concorrenziale di Brindisi. La popolazione assistette più volte all'avvicendarsi dei Bizantini, dei Goti e dei Longobardi: Belisario la occupò e la ripopolò, ma Totila con i suoi Goti la conquistò, creandovi un forte presidio. Il generale greco Narsete, successore di Belisario, sconfisse Totila e la rifece bizantina. Poi, nel 568 calarono i Longobardi di Alboino e la conquistarono. Nella primavera del 663 il Basileus Costante II Eraclio sbarcò a Taranto con una flotta, e strappò ai Longobardi la città, le Murge, il Salento e il Gargano. Tornato l'Imperatore a Costantinopoli, i Longobardi ripresero la lotta, prima col duca Grimoaldo, e poi con il di lui figlio Garibaldo, che nel 686 riconquistò Taranto e Brindisi. Attorno all'anno 700 iniziarono le scorrerie dei Berberi, che dureranno fino all'anno 1000.
L'inizio del IX secolo fu caratterizzato dalle lotte interne che indebolirono il potere longobardo. Nell'840 un principe longobardo di Benevento fu tenuto prigioniero a Taranto, ma alcuni suoi sostenitori lo liberarono, lo riportarono a Benevento e lo proclamarono principe. Nel frattempo i Saraceni riuscirono ad assumere il controllo della città, istituendovi un emirato che si attivò per un quarantennio, e trasformandola in un'importante base navale e militare dalla quale partirono frequentemente navi cariche di prigionieri destinati al mercato degli schiavi. Nel corso dello stesso anno, una flotta veneziana composta da 60 navi al soldo dell'Imperatore Teofilo II di Bisanzio, fu sconfitta nel Golfo di Taranto dalla flotta saracena, la quale riuscì a risalire l'Adriatico saccheggiando le città costiere. Nell'850 quattro colonne saracene partirono da Taranto e Bari per saccheggiare Calabria, Campania, Puglia, Molise e Abruzzo. Ancora, nell'anno 854, da Taranto partì una spedizione guidata da Abbas-Ibn-Faid che saccheggiò la provincia di Salerno. Nell'871, e successivamente nell'875, Taranto accolse le truppe saracene destinate al saccheggio della Campania e della Puglia.
Nell'880 l'Imperatore Basilio I il Macedone, deciso a sottrarre ai Saraceni le terre pugliesi, inviò due eserciti guidati dai generali Procopio e Leone Apostyppes ed una flotta navale al comando dell'ammiraglio Nasar: bloccata la via del mare dalla flotta bizantina, i Saraceni al comando di Othman vennero sconfitti, e così Taranto fu sottratta al loro dominio. Tra i primi atti del governo bizantino del generale Apostyppes vi fu la riduzione in schiavitù degli abitanti di origine latino-longobarda, ormai convertiti ai costumi islamici, e l'accoglienza di coloni greci per ripopolare la città. Dal 922 la città continuò a subire le incursioni saracene: il 15 agosto 927, i Musulmani guidati dallo schiavone Sabir, distrussero definitivamente la città greco-romana, infierendo contro i cittadini e massacrandoli senza pietà, deportando come schiavi in Africa tutti i superstiti. Pochi scamparono alla morte cercando rifugio nelle Murge.
Nel 967, dopo quarant'anni, l'Imperatore bizantino Niceforo II Foca, giustamente considerato il secondo fondatore di Taranto, cedendo alle reiterate pressioni dei superstiti, s'interessò alla città decidendo di ricostruirla, facendo così nascere l'odierno Borgo Antico: spazzò via le rovine della vecchia città e dell'acropoli, fece colmare il tratto costiero lungo il Mar Piccolo per facilitare il lavoro dei pescatori, costruì un ponte su 7 arcate e ricostruì l'antico acquedotto romano su 203 arcate, che proprio attraverso il ponte, convogliava nella città le acque delle vicine Murge.
I pescatori che erano emigrati, cominciarono a rientrare fiduciosi ed a popolare la zona spianata sul Mar Piccolo.
[modifica] Il Principato di Taranto
Nel 977 Taranto subì nuovamente l'attacco dei Saraceni guidati da Abū 'l-Qāsim, che depredò la città e fece numerosi prigionieri, bruciando alcuni quartieri. Nel 982 fu base di partenza dell'esercito imperiale guidato da Ottone II, che venne poi sconfitto dai Saraceni di Abū 'l-Qāsim nella battaglia di Stilo.
Conquistata dai Normanni con Roberto il Guiscardo, Taranto si accinse a diventare la capitale di uno dei più vasti e più potenti domini feudali del Regno di Sicilia. Alla morte di Roberto nel 1085, si accesero aspre rivalità tra Boemondo I d'Antiochia e Ruggero Borsa, i figli avuti rispettivamente dalla prima e dalla seconda moglie. Boemondo, figlio della prima moglie Alberada ripudiata dal marito, fu escluso dalla successione al ducato di Puglia, e decise pertanto di far valere i propri diritti con le armi, riuscendo ad impadronirsi di Oria e portandosi insieme ai sui seguaci nei territori di Taranto e di Otranto con frequenti scorrerie. Onde evitare conseguenze più nefaste, e accondiscendendo alla richiesta fatta da papa Papa Urbano II di deporre le armi, Ruggero stipulò con il fratello un accordo in base al quale concesse i territori di Taranto, Otranto, Gallipoli e Brindisi. Questo accordo non fece però desistere Boemondo dalla sua rivendicazione dei diritti usurpati alla primogenitura, e fomentando abilmente ribellioni in tutto il ducato, riuscì a diventare verso la fine del 1088 sovrano incontrastato del Principato di Taranto.
La sua successiva partecipazione alla prima crociata allestita contro i Turchi selgiuchidi in Terra Santa, condusse il porto di Taranto ad un lungo periodo di decadenza a vantaggio di quello di Brindisi. In seguito alla sua morte avvenuta nel 1111, i successori furono prima il figlio Boemondo II d'Antiochia, e successivamente Ruggero II di Sicilia. Quest'ultimo, oltre a riconoscere la grande importanza geografica e politica del territorio, fu il primo ad investire con il titolo di Principe il figlio secondogenito Tancredi. Il breve trono di Tancredi, fu ereditato da Guglielmo I di Sicilia, a partire dal quale il principato non fu più attribuito a principi di sangue reale fino al sopraggiungere degli Svevi.
Con l'arrivo degli Svevi, l'Imperatore Federico II nominò Principe di Taranto suo figlio Manfredi. Nel 1266 Manfredi viene sconfitto nel corso della Battaglia di Benevento da Carlo I d'Angiò, e la città passò quindi ai Francesi e fu affidata al Principe Filippo I d'Angiò. A quest'ultimo si deve lo sviluppo della città di Martina Franca (TA) nei primi anni del trecento: infatti ampliò il villaggio di profughi tarantini nato nel X secolo con il nome di San Martino, concedendo diritti e franchigie a quanti fossero venuti ad abitarlo.
Intorno al 1380, Raimondo Orsini Del Balzo ritorna dall’Oriente ed occupa alcune terre appartenenti al padre Nicola Orsini. Alleandosi con Luigi I d'Angiò, riesce ad ottenere i beni che gli spettavano per eredità, e sempre su consiglio dell’angioino, sposa nel 1384 la Contessa di Lecce Maria d'Enghien. Con questo matrimonio, diventa uno dei più potenti feudatari del Mezzogiorno. A lui si deve la costruzione nel 1404 della Torre di Raimondello, una massiccia torre quadrata e fortificata che vigilava l'ingresso in città dal Ponte di Porta Napoli. Nel frattempo gli Angioini erano stati definitivamente sconfitti nel 1399. Dopo la morte di Raimondello nel 1406, suo figlio Giovanni Antonio Orsini Del Balzo diviene Principe di Taranto nel 1414. Nel 1465 il Principato di Taranto viene annesso al Regno di Napoli, entrando così a far parte del regno aragonese.
[modifica] Il Regno di Napoli
A causa delle costanti minacce portate dai Turchi e dai Veneziani, gli Aragonesi decisero di fortificare la città, costruendo il Castello Aragonese ed il suo fossato. Nel 1495, Carlo VIII di Francia costringe alla fuga le truppe aragonesi, entrando senza difficoltà in città e impadronendosi del castello. Ma nel mese di ottobre dello stesso anno, Cesare d'Aragona mette sotto assedio Taranto per circa un anno e mezzo, costringendo questa volta i Francesi alla resa. Per riconquistare il consenso del popolo tarantino furono concessi alcuni benefici, e la stessa Regina Isabella I di Castiglia partecipò ai sontuosi festeggiamenti organizzati nel castello ed in città.
Il 10 agosto 1497 venne incoronato re di Napoli Federico I, ma la ripresa delle ostilità da parte di Ferdinando II d'Aragona e di Luigi XII di Francia, forti del Trattato di Granata stipulato segretamente tra Spagnoli e Francesi ai danni degli Aragonesi l'11 novembre 1500, lo videro costretto a fuggire in Francia nel settembre del 1501, lasciando le responsabilità del regno al figlio appena dodicenne Ferdinando, Principe vicario e Duca di Calabria. Il primo marzo 1502, nonostante il tentativo di organizzare una difesa dal castello della città, questi dovette cedere all'assedio degli uomini capitanati dal Generale Consalvo di Cordova il Gran Capitano, che guidò l'invasione del regno dal sud della penisola dopo aver superato le resistenze degli Aragonesi in Calabria e nella Lucania. La popolazione si arrese a condizione di lasciar libero il giovane principe aragonese, ma gli Spagnoli non tennero fede al giuramento fatto sull'Ostia consacrata e lo mandarono invece prigioniero in Spagna, ospite forzato di Ferdinando II d'Aragona. Con la perdita dell'indipendenza del Regno di Napoli, Taranto seguì le sorti di tutta l'Italia Meridionale, cadendo sotto il dominio spagnolo e diventando città demaniale. Nonostante la mancanza di fondi, si decise di fortificare la città, mentre lungo tutta la costa del Mar Grande si costruirono numerose torri costiere di avvistamento. Il pericolo rappresentato dai Turchi infatti, non cessò mai di venir meno: per circa sei mesi nel 1554, essi stazionarono indisturbati sulle Isole Cheradi nel Golfo di Taranto, e approfittando della momentanea debolezza degli Spagnoli, tentarono più volte di attaccare il castello, ma furono prima respinti e poi definitivamente sconfitti dal popolo tarantino nei pressi del fiume Tara.
Agli inizi del seicento, la situazione economica della città si aggrava inesorabilmente: Taranto non costituisce più una base militare importante, e le stagnanti attività della pesca e della mitilicultura, nonché l'attività agricola nelle mani della nobiltà e del clero, determinarono una grave crisi economica che culminò nell'insurrezione popolare del 1647. In concomitanza con i moti di Napoli, il Re Filippo IV pretese l'arruolamento dei giovani di circa 18 anni. Scoppiò allora anche a Taranto una rivolta popolare guidata da Giandonato Altamura, sedata grazie all’intervento del Duca Francesco II Caracciolo di Martina Franca, al quale gli Spagnoli avevano chiesto aiuto: il Caracciolo fece finta di attaccare Taranto dalla parte del Ponte di Porta Napoli, ma la maggior parte del suo esercito attraversò il Castello Aragonese dalla parte opposta, attraverso la "Porta Paterna" aperta dagli Spagnoli, e poté così sorprendere il popolo in rivolta alle spalle. Altamura si arrese e fu condannato all'impiccagione su un torrione del castello. Dalla seconda metà del secolo, la Spagna comincia ad interessarsi maggiormente alle sue colonie dell'America centro-meridionale dalle quali ricavava oro e argento, tralasciando invece quelle del Mediterraneo.
Agli inizi del settecento, con l’arrivo a Napoli degli Austriaci, i Tarantini accolsero con entusiasmo la notizia dell'insediamento degli Asburgo presso il castello. Tuttavia nel 1734, gli Spagnoli rioccuparono Napoli con Carlo III, ed il Sindaco di Taranto Luigi Galeota venne nominato Regio Governatore e Castellano. In quegli anni le fortificazioni della città sono in completo stato di abbandono: solo infatti nel 1755 si cominciò a riparare il Castello Aragonese, mentre nel fossato che si estendeva dalla Torre Sant'Angelo alla Torre della Bandiera, si realizzò un giardino con alberi da frutto. Qualche anno dopo, il nuovo Arcivescovo di Taranto Monsignor Giuseppe Capecelatro, cominciò a raccogliere presso la sua villa i numerosi reperti archeologici sparsi per la città, tentando così di fondare un primo museo. Passata successivamente ai Borboni e incorporata nel Regno delle Due Sicilie, Taranto aderì nel 1799 alla Repubblica Partenopea, fino al ritorno al potere del Re di Napoli Ferdinando IV.
[modifica] Il Regno d'Italia
Fu nel periodo napoleonico, e grazie all’opera di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat, che la città riacquistò importanza marittima e militare. Furono infatti costruite nuove caserme e fortificazioni, come il Forte de Laclos sull'Isola di San Paolo.
Il 9 settembre 1827, un alluvione provocò danni a molte case ed alle mura che cingevano la città, allagando le campagne circostanti e trascinando a mare interi armenti, distruggendo tutti gli insediamenti di mitili del Mar Piccolo e causando una lunga carestia. Con il ritorno dei Borboni, che non le attribuirono mai l'importanza che meritava, Taranto conobbe nuovamente un lungo periodo di abbandono, fino quando le truppe di Giuseppe Garibaldi la occuparono nel 1860.
In seguito all'incorporazione di Taranto nel Regno di Vittorio Emanuele II di Savoia avvenuta nel 1861, i Tarantini Cataldo Nitti e Nicola Mignogna si adoperarono per il suo rilancio sia marittimo che militare, contribuendo a far assumere alla città una nuova fisionomia. Venne infatti istituita la Base Navale con l'Arsenale Militare Marittimo, venne abbattuta la parte occidentale del Castello Aragonese e trasformato l'antico fossato in un canale navigabile, le cui due sponde opposte saranno congiunte dal Ponte Girevole, dando finalmente inizio all'espansione oltre il canale con nuove costruzioni edilizie.
Il 15 settembre 1883, una seconda e ben più memorabile alluvione colpì ancora una volta il Borgo Antico. Si legge in un resoconto del giornale dell'epoca "Rinnovamento di Taranto":
"Questa notte, dopo un temporale durato parecchie ore, con lampi, tuoni, fulmini ed acqua torrenziale, il livello del Mar Piccolo si è elevato di quasi 3 metri. Quindi tutta la Piazza Grande e Via Garibaldi, le case e le botteghe a piano terreno sono rimaste inondante a più di un metro sott’acqua. In piazza e la su indicata via si eseguiva il salvataggio per mezzo di barche. Ma i danni sono stati moltissimi. La violenza della corrente che si riversava con impeto indicibile, dall'uno all'altro mare, ha completamente abbattuto il gran Ponte di Napoli, e la Cittadella, battuta alla base dalla violenza dell'acqua, minaccia rovina, sicché si è dovuto ordinare l’immediato sgombero di tutti gli abitanti. Anche Porta Lecce è pericolante e s'è impedito il passaggio delle persone. Questo improvviso disastro ha gettato la città nella desolazione. Pare vi siano parecchie vittime. Pare che le sciaie delle ostriche e delle cozze abbiano immensamente sofferto, se pur non sono state distrutte totalmente. Tutti i terreni circostanti al Mar Piccolo sono devastati, inondati, irriconoscibili. Quanta sventura! Quanta miseria che si prepara! La Giunta si è costituita in permanenza. Un servizio di barche è stato organizzato dalla batteria Carducci alla Stazione. Si provvede a togliere l'acqua da Via Garibaldi per mezzo di pompe atteso l'altezza del livello del mare le cui acque rigurgitano dalle chiaviche e dai pozzi all'interno delle case. A memoria d'uomo non si ricorda un fatto simile, il quale dimostra o che le leggi della natura si sono alterate o che l'anno 1883 sia destinato a rimanere nella storia col nome di nefasto.".
[modifica] Le guerre mondiali
Le spedizioni coloniali in Africa decise dall'Italia, furono vissute dalla città come grande opportunità economica, soprattutto in virtù della crisi che l'industria dei mitili e delle ostriche attraversò per via dell’epidemia di colera del 1910.
Il 24 maggio 1915 l'Italia decise di intervenire nella I Guerra Mondiale, e Taranto assunse un ruolo di primo piano con il suo Arsenale e con i nuovi Cantieri Navali Franco Tosi, per la riparazione e la costruzione delle navi da guerra. Gli operai furono di conseguenza pagati meglio, ed il transito delle migliaia di soldati diretti al fronte migliorò le condizioni economiche dei commercianti, ma la guerra portò con se anche un aumento dell'inflazione ed una diminuzione del potere di acquisto degli stipendi, al punto tale che la Regia Marina dovette provvedere al razionamento ed alla distribuzione dei generi alimentari. La guerra vera e propria fu però vissuta dalla città solo nella notte del 2 agosto 1916, quando un attentato fece esplodere la nave militare Leonardo da Vinci. Alla fine della guerra, le condizioni economiche si rivelarono drammatiche, aggravate nel 1920 dalla chiusura dei Cantieri Navali. Il disagio economico scatenò inevitabilmente numerose dimostrazioni di protesta che sovente si conclusero con scontri violenti tra dimostranti e Polizia.
L'ascesa al potere di Benito Mussolini ed il Fascismo, condussero alla ripresa dei lavori nell'Arsenale e nei Cantieri Navali, per la riparazione e la costruzione delle navi destinate alle guerre coloniali, e ad un nuovo sviluppo della città dal punto di vista ubanistico. Nel 1929 si diede inizio alla demolizione del teatro "Alhambra" ed alla costruzione sulle sue macerie del Palazzo del Governo, inaugurato dallo stesso Benito Mussolini nel 1934. Nel 1937 invece, vennero completati i lavori di costruzione del Palazzo delle Poste e della Casa del Fascio, oggi sede dell'Intendenza di Finanza. Furono inoltre costruite numerose case di edilizia popolare nel Borgo Antico, nuovi stabilimenti balneari sorsero sul lungomare, e nella centrale Piazza della Vittoria venne costruito il Monumento ai Caduti della I Guerra Mondiale.
L'italia entra nella II Guerra Mondiale il 10 giugno 1940, e la conseguente concentrazione nel Mar Piccolo delle navi da guerra della Marina Militare Italiana, portò nuovo lavoro per l'Arsenale, ma tutti gli altri settori economici ripiombarono nella crisi, mentre la cittadinanza abbandonò lentamente la città per timore dei bombardamenti, trovando rifugio nei paesi della provincia. La notte dell'11 novembre 1940, storicamente conosciuta come "Notte di Taranto", gli aerosiluranti partiti dalla portaerei inglese Illustrious bombardarono la flotta italiana nel Mar Piccolo, semiaffondando la corazzata Conte di Cavour, danneggiando gravemente le corazzate Littorio e Caio Duilio, e provocando 59 morti e circa 600 feriti. Solo due aerei britannici Swordfish furono invece abbattuti. Dopo questo episodio, la marina da guerra italiana dovette ritirarsi Taranto per rifugiarsi nei porti di Napoli, La Spezia e Genova, più sicuri ma più lontani dal principale teatro delle operazioni.
La caduta di Benito Mussolini ed il conseguente armistizio, portarono alla fuga delle truppe tedesche e alla presa di possesso della città da parte delle truppe alleate (Operazione Slapstick), che requisirono numerosi edifici pubblici per trasformarli in alloggi militari. Il 25 aprile 1945, l'annuncio della fine della guerra comunicato nella centrale Piazza della Vittoria, segnò l'inizio di una nuova era. Il 2 giugno 1946 nacque la Repubblica italiana, e negli anni successivi Taranto cominciò ad affermarsi come importante centro industriale e commerciale grazie alla sua posizione strategica nel Mar Mediterraneo, senza però abbandonare l'antica vocazione marinaresca e militare.
[modifica] L'età moderna
Nel 1965 venne inaugurato dal Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat il "IV Centro Siderurgico Italsider", uno dei maggiori complessi industriali per la lavorazione dell'acciaio in Europa, mentre il 25 giugno 2004 venne inaugurata in Mar Grande la nuova Stazione Navale della Marina Militare Italiana, dotata di alcune infrastrutture NATO. Nel frattempo, il 9 aprile 1993, la frazione di Statte si era separata da Taranto, diventando comune autonomo e mantenendo i confini della precedente circoscrizione.
Il 18 ottobre 2005 viene dichiarato ufficialmente il dissesto finanziario del Comune di Taranto. Le passività accertate ammontano inizialmente a 357.356.434 €, ma nel mese di marzo 2007, il capo della commissione di liquidazione del Comune, Francesco Boccia, dichiara una cifra pari a circa 637 milioni di euro.
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[modifica] Voci correlate
- Mappa di Soleto
- Guerre puniche
- Principato di Taranto
- Sviluppo morfologico di Taranto
- Economia di Taranto
- Personalità legate a Taranto
- Architetture di Taranto
[modifica] Bibliografia
- Luigi Madaro - Le origini del Principato di Taranto - Industria Grafica O. Ferrari & Co. - Alessandria, 1926
- Pietro Meloni - La contesa fra Taranto e Turi per il possesso della Siritide - Bardi Editore - Roma, 1951
- Maria Melucci - La città antica di Taranto - Mandese Editore - Taranto, 1989
- Felice Presicci - Falanto e i Parteni. Storia, Miti, Leggende sulla colonizzazione spartana di Taranto - Piero Lacaita Editore - Taranto, 1990
- Giacinto Peluso - Storia di Taranto - Scorpione Editrice - Taranto, 1991
- Giuseppe Mazzarino - Taranto, la sua vera storia - Ink Line - Taranto, 1999
- Nicola Caputo - Taranto com'era - Edizioni Cressati - Taranto, 2001
- Giovanni Massagli - Siamo ancora qui. Dal 1936 ad oggi noi in Taranto - Scorpione Editrice - Taranto, 2006
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